Il mondo delle palestre e del fitness in generale, specie nell'era moderna,…
L’infortunio è un evento considerato normale da molti sportivi, tanto che i sedentari di mezza età (ancora fisicamente attivi) possono spesso additare gli sportivi come soggetti che rovinano la propria salute con la pratica sportiva, piuttosto che migliorarla, come dovrebbe essere.
Il fatto che l’infortunio sia una cosa “normale” nello sport dilettantistico a mio parere fa parte di una visione dell’attività fisica ormai datata e da superare.
L’errore della maggior parte degli sportivi “vecchia maniera” è quello di praticare il proprio sport preferito alla stregua dei professionisti, allenandosi con lo scopo di ottenere il massimo dal proprio organismo. Il continuo miglioramento, alla ricerca dei propri limiti, è una motivazione molto forte e molto importante che, tuttavia, va coltivata insieme ad altre perché potenzialmente pericolosa. Vediamo perché.
Perché l’infortunio non deve essere “normale”
Una visione moderna dello sport prevede che esso sia praticato per aumentare la qualità della nostra vita, sia nell’immediato, tramite i benefici a breve termine che lo sport ci regala (il divertimento, la soddisfazione, la socializzazione, ecc), sia a lungo termine, grazie al fatto che un’attività fisica ben praticata è in grado di farci vivere più a lungo e più in forma.
L’infortunio ci costringe a non praticare uno o più sport, e spesso ci costringe all’inattività totale.
La nostra qualità di vita nell’immediato scade. Certo, tutto può essere vissuto in modo positivo, per esempio possiamo meditare sugli errori che ci hanno portato all’infortunio, per non ricaderci, possiamo imparare a fare a meno dello sport, per non diventarne schiavi… Tuttavia, giriamola come ci pare, ma i casi in cui l’infortunio è una manna, sono veramente pochi.
E a lungo termine? Molti infortuni guariscono completamente senza lasciare strascichi, ma non tutti. Altrettanti lasciano cicatrici più o meno gravi che, alla lunga, possono portare a un danno permanente, a un problema cronico. Quindi, uno scadimento della qualità di vita lo possiamo avere anche a lungo termine, e se gli infortuni diventano frequenti, oppure se sono particolarmente gravi, lo scadimento può diventare enorme.
Quindi, è evidente che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’infortunio è una cosa negativa poiché abbassa la qualità della nostra vita.
Infortunio e ricerca del limite
Tra gli atleti professionisti, veramente in pochi hanno avuto una carriera esente da infortuni. Quasi tutti hanno subito qualche stop. Sembrerebbe dunque che, nello sport a livello professionistico, l’infortunio sia una cosa del tutto normale. I professionisti ci insegnano che l’infortunio è tanto più probabile quanto più l’atleta si avvicina al suo limite fisiologico. Lo scopo di un professionista è quello di avvicinarsi il più possibile ai suoi limiti, perché questo si traduce in successo professionale. L’infortunio, per il professionista, fa parte delle regole del gioco perché senza di esso, egli avrebbe poche chance di vittoria, successo professionale ed economico.
Per il dilettante, il raggiungimento del limite fisiologico è solo una delle motivazioni che lo spingono ad amare e a praticare sport. Raggiungere il valore massimo in questo, che è solo uno degli addendi della somma delle motivazioni, significa aumentare il rischio (facendolo diventare quasi certezza) di incorrere in un infortunio, facendo crollare la qualità di vita per un certo periodo e ponendo le basi per una cessione prematura dell’attività sportiva. Chiedete a uno sportivo assiduo se l’infortunio è una cosa normale… Vi risponderà di certo in modo affermativo (anche perché dovrà giustificare tutte le volte che si è infortunato). Nella mia visione l’infortunio, per un non professionista, deve essere un evento eccezionale, non la normalità. Questo significa che la maggior parte degli sportivi se praticassero lo sport correttamente non dovrebbe incorrere in infortuni durante la propria vita!
Dunque, il segreto per non infortunarsi è quello di stare sufficientemente lontani dal proprio limite, soprattutto nelle attività ad alto rischio di infortuni.
Buttare il cuore oltre il traguardo, non le ginocchia!
Sia chiaro: chi scrive non è un jogger che si fa la sua corsetta con il walkman a 6’/km, è un triatleta che si allena duramente, spesso più volte al giorno, e di certo non si risparmia. Amo la velocità e la natura, passioni che coltivo con lo sci e la pesca subaquea, due sport non proprio da “paurosi”.
Non dare il 100% non significa risparmiarsi oltremisura, soprattutto se l’80-90% è già tanto.
Non dare il 100% significa sapere quali sono i propri limiti e stare sufficientemente lontani da essi, consapevoli del fatto che è molto meglio correre 10 km in 45′, senza infortunarsi mai, piuttosto che correrli in 40′ subendo in media un infortunio ogni due anni (per alcuni runner sarebbe già un buon obiettivo visto che in tanti si infortunano almeno ogni anno).
La quantità
L’infortunio per eccesso di quantità è causato da un esercizio protratto eccessivamente nel tempo, oltre i limiti sopportabili dall’organismo. Avviene soprattutto quando si pratica un solo sport per molte ore la settimana, per esempio accade ai runner che si concentrano sulle lunghe distanze e che corrono fino a 80-100 km la settimana, o ai nuotatori di fondo che nuotano soprattutto a stile libero per 25 o più km la settimana.
Il cross-training (per esempio il triathlon) in genere consente di evitare questo problema, poiché difficilmente un triatleta potrà allenarsi con chilometraggi veramente importanti in 3 discipline. Anche dedicarsi a sport tecnici, dove i gesti non sono ripetitivi, sono coinvolte molte articolazioni, e gli allenamenti non sono prettamente finalizzati all’aumento delle prestazioni del “motore”, ma anche della tecnica.
Come evitare l’errore di quantità?
- Adottare una strategia multisport.
- Aumentare gradualmente il volume di allenamento, fino a determinare quello massimo sopportabile dal nostro fisico nelle varie discipline.
La qualità
Un solo allenamento veramente duro può portare all’infortunio, quando l’atleta è molto vicino ai propri limiti fisiologici e può, in una sola, singola occasione, oltrepassarli generando una lesione ad una articolazione o a un muscolo. Anche in questo caso il cross training può aiutare, in quanto l’atleta, impegnato in più discipline, spesso non possiede le capacità tecniche e volitive per “tirare” veramente al massimo nella singola specialità, né è interessato a farlo perché gli allenamenti veramente di qualità si fanno quanto più si è specialisti (un triatleta difficilmente fa ripetute in salita nella corsa, per esempio: probabilmente si limiterà a fondi lenti, fondi medi e qualche ripetuta con recupero di corsa).
Come evitare l’errore di qualità?
- Costruire prima una solida base di quantità (aerobica) prima di effettuare lavori di qualità.
- Costruire una solida esperienza, imparando ad ascoltare il proprio fisico e sapendo dire basta quando compaiono le avvisaglie di un infortunio.
Gli imprevisti
Gli imprevisti riguardano casi fortuiti (un investimento da parte di un auto in bicicletta o una caduta per colpa di un cane che attraversa la strada); oppure eventi traumatici causati da errori dell’atleta (cadute a sciare, scivolate in bicicletta in curva, ecc). In entrambi i casi questi eventi sono tanto più frequenti quanto più lo sport praticato coinvolge la componente velocità e quanto più sono traumatiche le cadute.
Ovviamente, in questo senso correre è meno pericoloso del ciclismo o dello sci (le velocità sono inferiori), l’alpinismo è più pericoloso della bicicletta, ecc.
L’infortunio da imprevisto in genere è più grave di quello da sovraccarico, ma è anche più raro. Per evitarlo, la strategia è la identica: stare sufficientemente lontani dal limite.
- Fare tesoro dell’esperienza: quando ce la “vediamo brutta” ma ci va fatta bene, impariamo a non ritrovarci più in quella situazione.
- Se non ci sentiamo perfettamente padroni della situazione, non esageriamo. In parole povere, dobbiamo avere sempre la sensazione di avere tutto sotto controllo.